Cristina Ianniello, Mappa degli stazzi

Gli stazzi sul territorio amatriciano

Le pendici del versante occidentale dei monti della Laga sono ricche di vegetazione. I boschi si spingono fino ad un’altezza media di 1600 m s.l.m.; al di sopra del limite del bosco le praterie arrivano alle cime dei rilievi, la cui altitudine massima è rappresentata dai 2458 m s.l.m. del monte Gorzano. Il territorio è caratterizzato dalla presenza di numerosi centri abitati, tra cui spicca la cittadina di Amatrice. L’area d’indagine di questa ricerca riguarda una porzione del territorio laziale, estesa per circa 50 km2 e delimitata dal confine regionale con Abruzzo e Marche a est e dall’isoipsa⁶ 1300 m s.l.m. a ovest.
Lo studio nasce nell’ambito del progetto Terre Alte che la sezione del Club Alpino Italiano (CAI) di Amatrice sta conducendo da qualche tempo. La finalità di queste ricerche, promosse dal CAI nazionale⁷, è di individuare e catalogare i segni della presenza umana in quota, testimonianze che, a causa dell’abbandono da parte dell’uomo, una volta venute meno le funzioni insediative originarie, si stanno rapidamente degradando o sono in procinto di sparire (Cristina Ianniello)

Gli stazzi del versante occidentale dei monti della Laga
Nel corso delle ricerche sui segni dell’uomo nell’ambito del progetto Terre Alte, è emerso ben presto come le testimonianze più diffuse sul territorio fossero legate all’allevamento ovino, a conferma dell’importanza che tale attività ha rivestito nel corso dei secoli nella zona. Si è deciso allora di concentrare l’attenzione sugli stazzi, elemento fondamentale per la permanenza in montagna nel periodo estivo e si è proceduto a un lavoro di identificazione e di documentazione.
L’individuazione degli stazzi sul territorio non poteva, per forza di cose, seguire un percorso univoco. Una prima fase si è basata sulle informazioni raccolte presso la popolazione locale, sulle conoscenze personali e su quelle del gruppo CAI della Sezione di Amatrice. In questo caso, gli stazzi individuati sono generalmente quelli posizionati lungo i sentieri curati dalla Sezione. Una seconda ricerca si è basata sugli stazzi evidenziati sulle tavolette 1:25000 dell’IGM. Un terzo passo, che ha portato alla classificazione di un numero consistente di stazzi, si è basato su una capillare analisi delle immagini satellitari provenienti da Google Earth™. In questo caso, sono state censite tutte le strutture riconducibili alla mano dell’uomo, tipicamente di forma quadrata o rettangolare e di misure superiori ai tre metri. Con lo stesso metodo, sono stati identificati dei muri a secco con angoli vivi che possono far pensare ai recinti in pietra degli stazzi.
Alla conclusione di questa fase del lavoro, si può affermare che solo l’incrocio di diverse metodologie poteva rendere possibile l’identificazione del maggior numero possibile di stazzi. Spesso infatti quanto indicato dall’IGM non ha trovato riscontro né nei dati a terra né dalle immagini satellitari; per contro, gli stazzi attualmente all’interno delle aree boscate e non visibili da satellite sono stati mappati a partire dalla cartografia IGM e/o dalle informazioni della popolazione e da ricognizioni sul territorio.
I dati raccolti sono stati inseriti all’interno di un sistema informativo geografico (GIS), che consente la stratificazione di livelli vettoriali e di immagini, così da consentire una lettura integrata del territorio. In questo modo si rende possibile, ad esempio, visualizzare gli stazzi, la rete sentieristica, le curve di livello, la distribuzione della vegetazione e il reticolo idrografico in una unica schermata.
Attraverso incontri e colloqui ripetuti nel tempo con le persone del luogo, è stato possibile non solo ottenere informazioni sulla posizione e sulle caratteristiche degli stazzi ma anche testimonianze e notizie relative alla vita che vi si svolgeva. Si sono così raccolti, e si continuano a raccogliere, ricordi e aneddoti da chi ha frequentato la montagna nel periodo in cui la pastorizia era l’attività principale della comunità, allo scopo di ampliare la documentazione della vita locale del tempo.
La ricerca, condotta secondo le modalità ricordate, ha portato all’identificazione di 30 stazzi. Sebbene si tratti di dati ancora suscettibili di parziali aggiornamenti e di ulteriori verifiche, è possibile procedere ad alcune considerazioni.
Dei 30 stazzi identificati, 12 sono segnati sulla carta IGM; 24 presentano resti della struttura visibili da satellite. La distribuzione altimetrica degli insediamenti presi in esame va dai 1484 ai 2125 m s.l.m. Una prima osservazione che balza agli occhi è che non tutti gli stazzi hanno un nome. Alcuni prendono il nome dalla montagna su cui sono dislocati (Stazzo di Gorzano) o dalla località (Stazzo della Radicinola). Altri sono conosciuti con più di un nome (Stazzo di Selva Grande oppure Stazzo di Piani Fonte), in qualche caso con il nome della località e il nome della famiglia proprietaria (Stazzo di Colle Piano o casetta Rossetti)
(Cristina Ianniello).

Letizia BIndi, Stazzo di Cardito, Fattoria Scialanga (22/09/2019)

I pascoli in altura

Tornati nella conca amatriciana, i pastori, i loro cani e le pecore trascorrevano tutto il periodo estivo sui pascoli in altura, presso gli stazzi.
Il termine italiano stazzo indica il recinto all’aperto del gregge. Il vocabolo deriva dalla parola latina statio che significa fermata, sosta. Un sinonimo di stazzo è addiaccio, il recinto all’aperto dove il gregge è raccolto per la notte.
Nell’area dei monti della Laga, così come in altri contesti dell’Appennino centro-meridionale, accanto alla parola italiana stazzo è molto usata la forma dialettale iaccio/jaccio, Questo era il termine maggiormente usato dai pastori più anziani ed è presente nella toponomastica locale e sulla cartografia ufficiale dell’Istituto Geografico Militare (IGM) (ad esempio: Iaccio Piano e Iaccio Porcelli).
Lo stazzo è un insediamento temporaneo, adibito alla permanenza stagionale del pastore e del gregge in montagna, nel periodo estivo. Indica il luogo di sosta delle greggi e le strutture opera dell’uomo che servono alla custodia del gregge, al riposo del pastore e alle attività svolte in montagna: mungitura, produzione del formaggio, preparazione del cibo. Lo stazzo, quindi, comprende il recinto per il bestiame, la casetta per il pastore, ed un’eventuale altra casetta di servizio.
Nel territorio di Amatrice alcuni stazzi sono privati, proprietà delle famiglie del luogo che per generazioni vi hanno portato le proprie greggi a pascolare. Altri sono di proprietà del Comune e vengono assegnati ai pastori che ne fanno richiesta, partecipando ad un’asta (Cristina Ianniello)

Stazzi nella campagna romana

Tipologia degli stazzi

Una considerazione che si può fare riguarda la tipologia degli stazzi relativamente ai materiali e alle modalità di costruzione, sia per la casetta del pastore sia per il recinto.
Casetta Recinto
In pietra a secco In pietra a secco
Addossata su roccia In rete di corda
Riparo di frasche

Paolo Plini, Lo Stazzo della Pacina (2019)

La casetta

La casetta è parte fondamentale dell’insediamento. È il riparo per il pastore e ne consente la presenza continuativa, notte e giorno, a custodia del gregge. Spesso nel dialetto locale è sinonimo dello stazzo nel suo complesso.
La tipologia di costruzione dipendeva dalla disponibilità del materiale reperibile nei pressi dello stazzo o lungo il percorso per raggiungerlo poiché tutto veniva trasportato a piedi o, dove possibile, con animali da soma. Nella maggior parte dei casi, data la disponibilità della materia prima naturale, la casetta era realizzata interamente con la pietra locale, l’arenaria. Talvolta, i pastori sfruttavano le formazioni rocciose naturali alle quali addossavano le pietre per ricavare una costruzione: un esempio di questo tipo è visibile negli Stazzi di San Lorenzo.
Dove però la pietra adatta scarseggiava, si costruiva una capanna con soli rami e frasche di faggio. Queste costruzioni avevano dimensioni ridotte rispetto a quelle in pietra e garantivano una minore durata nel tempo, essendo soggette ad un rapido deterioramento durante la stagione invernale.
Ovviamente, i manufatti in pietra erano più resistenti alle intemperie e offrivano una migliore protezione al pastore. La copertura poteva consistere in lastre di pietra, denominate schiazze, con travi in legno, spesso in faggio, specie diffusa in quota e facilmente reperibile nelle vicinanze dello stazzo. Alle volte la copertura poteva essere realizzata con frasche. Negli ultimi tempi, per aumentare l’impermeabilità si usavano anche teli militari.
I proprietari dello stazzo erano interessati a costruire casette robuste e durature. Ogni anno, all’inizio della stagione, venivano svolti lavori di manutenzione da parte degli stessi pastori; in caso di interventi più importanti ci si rivolgeva a persone specializzate nella costruzione dei muri a secco. Anche chi tornava sempre allo stesso stazzo in affitto si impegnava per mantenere in buono stato le strutture. Le costruzioni erano semplici, a pianta quadrata o rettangolare. Le dimensioni erano ridotte e le più piccole misuravano circa 2×2 metri e potevano ospitare un solo pastore per volta; le più grandi di circa 4×6 metri potevano contenere due o tre rapazzole, i giacigli ricavati con le frasche (Cristina Ianniello).

Paolo Plini, Gli Stazzi di San Lorenzo (2019)

Il recinto

L’altro elemento fondamentale dello stazzo era il recinto per le pecore. Era il luogo dove venivano radunati gli animali per trascorrere la notte e fungeva da difesa nel caso degli attacchi da parte degli animali predatori. In questo caso era fondamentale per il pastore l’aiuto dei cani, posti a guardia del gregge. Il recinto poteva consistere in un muro a secco costruito, così come la casetta del pastore, con la pietra locale disponibile sul posto. La struttura era di forma quadrata o perlopiù rettangolare, con gli angoli vivi. Le dimensioni dei recinti da uno stazzo a l’altro variavano molto.
L’altro tipo di recinto invece era in rete di corda. Si trattava di una rete a maglie che veniva fissata al terreno tramite pali di legno, conficcati al suolo grazie al caratteristico attrezzo di legno lu mazzu, il mazzo battipalo. Questo tipo di ricovero per il bestiame, che nel pascolo estivo sui monti costituiva un’alternativa allo stazzo in muratura, era il tipico recinto mobile usato durante il viaggio della transumanza, che veniva montato e smontato ad ogni sosta.
Lo stazzo in muratura e quello in corda presentano ciascuno dei vantaggi e degli svantaggi. Sicuramente il recinto in pietra, essendo una struttura stabile, offriva una migliore protezione e garantiva una maggiore difesa in caso di un attacco da parte dei lupi. È diffuso soprattutto negli insediamenti caratterizzati da una frequentazione continuativa nel tempo. Di contro, la rete permetteva di cambiare velocemente, in caso di necessità, la zona adibita al ricovero delle pecore. Questa facilità di spostamento era utile soprattutto quando, in seguito a piogge intense e prolungate, la superficie dello stazzo poteva ricoprirsi di uno strato di fango dannoso per il benessere degli animali.
Il recinto in rete era usato soprattutto nei casi in cui, a causa delle caratteristiche del terreno o per mancanza della pietra sul posto, non era possibile costruire uno stazzo in muratura (Cristina Ianniello).

Charles Coleman, Stazzo pastorale nella Campagna Romana (1850)

Localizzazione degli stazzi

Dalle testimonianze raccolte in loco e osservando la distribuzione degli stazzi sulle pendici dei monti della Laga, appare evidente come le caratteristiche naturali del luogo contribuiscano a determinare il posizionamento di uno stazzo. La funzione dello stazzo è garantire un buon pascolo agli animali, custodire e proteggere il gregge, permettere lo svolgimento delle attività collegate alla pastorizia e alla cura degli animali, consentire condizioni di vita accettabili al pastore durante la permanenza in montagna. Si deve creare un equilibrio tra l’elemento antropico e l’elemento naturale: la necessità economica da parte del pastore di sfruttare il pascolo e il suo ingegno e capacità di adattamento a condizioni di vita disagiate devono necessariamente tenere conto dell’ambiente fisico in cui si svolgere la propria attività.
Questa riflessione ci porta a esaminare gli elementi naturali che determinano la localizzazione di uno stazzo:

  • Disponibilità di pascolo
  • Disponibilità di acqua nelle vicinanze
  • Disponibilità di legna
  • Pendenza
  • Accessibilità
R. Marinelli, Lo stazzo di Monte Gorzano (anni ’90)

 

Pascolo

Il requisito fondamentale per uno stazzo è la presenza di un pascolo esteso e di buona qualità dove condurre quotidianamente il gregge. Queste due qualità combinate assieme rendevano alcuni stazzi molto più ambiti di altri. Le pendici della catena della Laga, per la loro struttura geomorfologica, presentano ampie praterie che si estendono fino alle cime; in alcuni tratti, però, l’affioramento delle rocce rende discontinuo il pascolo. Il valore dei singoli terreni, riscontrabile dalle tariffe per l’affitto annuale, era calcolato in base alla facilità di accesso e al numero di bestie che ogni appezzamento poteva sostenere al pascolo per gli oltre tre mesi della stagione estiva.

R. Marinelli, Lo stazzo del Gorzano (anni ’90)

Acqua

La disponibilità di acqua è un fattore importantissimo per lo stazzo. La caratteristica dei monti della Laga, determinata dalla struttura geomorfologica, è proprio la ricchezza di sorgenti e di acqua in superficie. Infatti, la bassa permeabilità del substrato roccioso limita l’infiltrazione delle acque meteoriche e alimenta in gran parte il deflusso superficiale.
Gli stazzi si trovano nelle vicinanze di sorgenti o corsi d’acqua, permettendo così di venire incontro alle esigenze sia dei pastori sia del bestiame. La presenza di acqua facilitava la permanenza allo stazzo poiché consentiva di far abbeverare il bestiame, di conservare temporaneamente il latte, di disporre di acqua per cucinare e per tutte le esigenze del pastore (Cristina Ianniello).

Letizia Bindi, Colle Cardito, Aspettando la transumanza (Settembre 2019)

Legname

La disponibilità di legname nelle vicinanze è un altro aspetto importante per la localizzazione di uno stazzo. La possibilità di reperire con facilità questo materiale, senza doversi allontanare troppo, rendeva più comoda la vita del pastore. Il limite altimetrico del bosco nel territorio è fissato mediamente a quota 1600 m s.l.m.. In alcuni punti, come sul versante nord della valle di Selva Grande, gli alberi si spingono più in alto e a quote superiori è comunque possibile trovare qualche albero o arbusto utilizzabile. La legna era necessaria non solo per accendere il fuoco per preparare il formaggio, per cucinare, e per scaldarsi ma serviva anche per produrre utensili o effettuare qualche riparazione allo stazzo.

R. Marinelli, Sulla strada da Rieti per Leonessa (anni ’50)

Pendenza

La scelta del luogo da utilizzare per lo stazzo doveva tenere conto necessariamente della morfologia del terreno. La casetta in pietra per il riparo del pastore, per quanto di dimensioni ridotte, necessitava di una superficie possibilmente pianeggiante su cui erigere la struttura in muro a secco. L’area destinata al gregge doveva essere sufficientemente ampia e con una conformazione del terreno regolare, in modo da poter ospitare in sicurezza le pecore e permettere la realizzazione del recinto. Il luogo ideale era pianeggiante ma con una leggera pendenza, per agevolare il defluire dell’acqua piovana e delle deiezioni liquide ed evitare, in tal modo, il formarsi di un pericoloso strato di fango, dannoso per la salute degli animali (Cristina Ianniello).

Accessibilità

Gli stazzi collocati lungo i pendii della catena montuosa erano raggiungibili tramite mulattiere e sentieri. Dai vari paesi della conca amatriciana, una diffusa rete di percorsi permetteva agli uomini e alle greggi di salire ai pascoli. Queste vie erano utilizzate nei trasferimenti di andata e di ritorno in occasione della transumanza. Durante l’estate erano percorse dai familiari dei pastori che si recavano a portare loro le provviste; oppure dai pastori stessi che tornavano nelle proprie case, nei paesi, quando si alternavano nella custodia del gregge. Si racconta anche che, poiché a custodia delle pecore era abitudine lasciare anche pastorelli molto giovani, spesso qualche madre salisse fino agli stazzi di nascosto per controllare che tutto andasse bene. Molti stazzi sono situati a quote comprese mediamente tra gli 800 e i 1000 metri più in alto rispetto ai paesi sottostanti, il che comportava una camminata di almeno due/tre ore, spesso su percorsi difficili. Sono trasferimenti che per la mentalità odierna risultano faticosi e impegnativi ma vengono ricordati con molta naturalezza, come una consuetudine, da chi li ha praticati all’epoca. Era, evidentemente, uno stile di vita diverso quello di allora, erano generazioni abituate a camminare non per divertimento ma per necessità. Può essere interessante, a questo proposito, ricordare che fino all’avvento e alla diffusione delle automobili, il percorso che transitava per la Selva Grande, noto anche come il Sentiero dei Ficorari, era la mulattiera comunale di Amatrice per Teramo, molto frequentata e utilizzata sia per lo scambio dei prodotti agricoli e del bestiame, sia per gli spostamenti tra i due versanti della montagna. Alcuni stazzi sono serviti da comode mulattiere che consentivano di arrivare con gli animali da soma e, quindi, alleggerivano molto la fatica del pastore nel trasporto di quanto fosse necessario per la permanenza sui pascoli in montagna. Altri sono dislocati su pendii impervi, di difficile accesso. A proposito dell’accessibilità, ricordiamo la via Ranna, la “via Grande”, un tracciato molto utilizzato dai pastori che si snoda da Macchie Piane alla Sella della Solagna, (per la parte laziale) ad un’altitudine che va dai 1600 ai 2221 metri e mette in comunicazione una serie di stazzi, localizzati tra la cima di Pizzo di Sevo e valle di Selva Grande.
Molti dei vecchi percorsi tracciati dai pastori sono stati recuperati e manutenuti e ora fanno parte della rete sentieristica del CAI, che li rende fruibili agli escursionisti. Ripercorrere le tradizionali vie della pastorizia e raggiungere alcuni stazzi presenti sul territorio è un modo per custodire la memoria dell’antica vita pastorale dei monti della Laga (Cristina Ianniello).

Lo stazzo ideale

Lo stazzo ideale doveva essere localizzato su un terreno pianeggiante, con una superficie sufficientemente ampia per ospitare il recinto e con ricchi pascoli dove portare il gregge, essere raggiungibile tramite una mulattiera o un sentiero agevole e avere la disponibilità nelle vicinanze di acqua e di legname. Molti degli stazzi dei monti della Laga possiedono queste caratteristiche. Un esempio è lo Stazzo di Gorzano, caratterizzato da una morfologia favorevole, da una superficie estesa e dalla presenza di acqua e di bosco nelle vicinanze, come è facilmente osservabile anche dalla cartografia.
Ma nei periodi in cui la pastorizia è stata l’attività principale della zona e il numero dei capi di bestiame era molto elevato, la richiesta di pascoli è stata talmente forte che sono stati sfruttati tutti i possibili terreni. Sono così sorti stazzi anche in luoghi scoscesi, su pendii molto ripidi, di difficile accesso e con scarse risorse disponibili nelle vicinanze.
In questi casi le dimensioni dello stazzo erano piuttosto ridotte e la vita del pastore era particolarmente disagiata e dura. Un esempio di questo tipo di insediamento, che potremmo definire estremo, è lo Stazzo di Piè di Lepre che presentava una notevole pendenza, essendo posizionato su un lembo di superficie inclinata di circa 35 gradi sul canalone sottostante.
Si ricordano diversi episodi di inconvenienti legati alla morfologia scoscesa degli insediamenti e anche i rimedi che venivano escogitati per evitare incidenti gravi. Si racconta, ad esempio, che tutte le notti un piccolo pastorello veniva assicurato con una corda passata attorno alla caviglia e legata a un paletto fissato nel terreno per evitare che nel sonno rotolasse a valle (Cristina Ianniello).

Situazione attuale

Attualmente, gli stazzi presenti sul versante occidentale dei monti della Laga sono in stato di abbandono. A seguito del drastico calo dei capi di bestiame nell’area e delle diverse modalità di allevamento dei tempi recenti, le casette in pietra non sono più utilizzate da decenni e sono in rovina. Stessa sorte per i recinti in pietra che, ormai dismessi, si sono deteriorati. Gli ultimi eventi sismici hanno contribuito al degrado delle strutture e di molte ora rimane solo il muro perimetrale o un ammasso di pietre a ricordare gli antichi insediamenti. La vegetazione sta prendendo il sopravvento e non di rado è facile trovare alberi e cespugli che stanno crescendo all’interno dei ruderi. Per chi ha frequentato la montagna nel corso degli anni, il cambiamento è evidente ma anche l’osservazione delle fotografie scattate in periodi diversi permette di valutare il progressivo degrado. Anche in questo caso, possiamo prendere in considerazione lo Stazzo di Gorzano, caratterizzato da una frequentazione continuativa. La favorevole posizione e le caratteristiche morfologiche hanno fatto sì che sia stato uno degli ultimi ad essere stato abbandonato, negli anni ’90. È anche uno degli stazzi più noti agli escursionisti perché collocato in una zona della montagna molto frequentata. Di questa casetta esistono alcune fotografie scattate in periodi diversi. Le prime che abbiamo risalgono al periodo 1930/40 circa, anni in cui lo stazzo era in attività. La struttura appare solida e si nota il tetto a schiazze di arenaria. Sappiamo che alla fine degli anni ’80 il tetto era crollato ed era stato ripristinato con teloni e lamiere. Nelle fotografie scattate nel 1997 la struttura è ancora in piedi ma la nuova copertura era stata asportata ed è visibile l’orditura in legno del tetto. Nella foto più recente, del 2017, appare evidente quanto la situazione sia peggiorata: il tetto è completamente crollato e i muri sono spallati.
A partire dalla fine degli anni ’50 del Novecento, molti pastori hanno smesso di transumare e molti hanno ridotto considerevolmente il numero dei capi di bestiame. Qualcuno addirittura si è trasferito a Roma ma, non volendo rinunciare a mantenere un rapporto con le pecore, in alcuni casi più per motivi affettivi che economici, ha conservato un piccolo gregge e lasciato la cura degli animali a persone di fiducia nel paese.
Alcuni che da ragazzi hanno fatto il pecoraro, accudendo il gregge della famiglia, da adulti hanno scelto altre professioni. Tra le donne nate in famiglie di pastori è accaduto spesso che il matrimonio o il trasferimento altrove abbia comportato l’allontanamento dalla tradizione.
In seguito a questi cambiamenti, è calata molto la pressione sui pascoli e la minore richiesta ha portato all’abbandono degli stazzi, a cominciare da quelli più scomodi dove le condizioni di vita per il pastore erano particolarmente disagevoli. Già dagli anni ’50 del secolo scorso, alcuni non sono stati più utilizzati; gli ultimi sono stati abbandonati tra gli anni 1980/90.
Chi frequenta attualmente la montagna e osserva con attenzione il territorio non può non rendersi conto di quante greggi e quanti pecorari abbiano frequentato nel tempo i monti della Laga e di quanto la pastorizia abbia caratterizzato la cultura e la società locale. Percorrendo le antiche vie dei pastori, imbattendosi nei numerosi ruderi in pietra delle casette e dei recinti e riconoscendo dalla fitta presenza delle piante nitrofile le tracce dei vecchi stazzi, pare quasi di rivedere le migliaia di pecore al pascolo e i pendii popolati da greggi e pastori, quando l’allevamento ovino era fiorente e rappresentava la ricchezza della comunità (Cristina Ianniello).

Note

⁶ Linea che, nella rappresentazione topografica di terreno, congiunge tutti i punti che hanno uguale altezza sul livello del mare.
⁷ CLUB ALPINO ITALIANO – GRUPPO TERRE ALTE, Manualetto di attività “Terre Alte”, Milano 2002.