• SONIA MASCIOLI – CASA DELLE DONNE DI AMATRICE E FRAZIONI

Donna, 52 anni, non residente ad Amatrice, “seconda Casa”, ma non mi piace questo termine, laureata in restauro dei monumenti, mi sono avvicinata alla ceramica in un momento molto particolare della mia vita, esattamente dopo il sisma del 24 agosto del 2016.
In questo ultimo anno ho realizzato 2 mostre personali e sono stata selezionata con la mia opera “MADRE Terra” alla Biennale della ceramica di Ascoli Piceno.
Con altre donne del territorio ho fondato l’associazione Casa delle Donne di Amatrice e Frazioni di cui sono Presidente, per far rinascere l’artigianato in un mondo tutto al femminile, per “tornare ad esistere e non solo resistere”

TESTIMONI E LUOGHI DEL CUORE
Mi verrebbe da scrivere la mia casa, ma se chiudo gli occhi, mi vedo bambina percorrere la strada sterrata che da Preta incrociando l’ultimo tratto di Capricchia, sale verso il Sacro Cuore, da li, se si guarda sotto, verso la valle con le montagne di fronte, (il Gorzano domina sulla linea dell’orizzonte), si scorge un piccolo Rifugio fatto di sassi a secco e con il tetto a schiazze, quel piccolo rifugio del pastore, è della famiglia di mio marito, nel tempo, è diventato un luogo del cuore, il Capraturo.
Lo abbiamo ritirato su appena sposati, è diventato così l’unico stazzo esistente in ottimo stato, è stato utilizzato spesso come punto di riferimento per uscite in montagna, ad agosto li, si faceva pane e cioccolato con il CAI, ma la sua magia è unica in inverno quando con la neve, si raggiunge solo con le ciaspole, ed allora si accende il fuoco, le luci dello stazzo e diventa accogliente per una polentata tra amici.
Luogo del cuore perché, tutto questo è stato dopo quasi 25 anni interrotto dal sisma e poi dalla pandemia, luogo ricco di memoria, di ricordi, legato alle nostre origini di figli di pastori, ma anche un luogo dove restare in silenzio ad ascoltare la natura.

LA COMUNITÁ, LA SOCIALITÁ E I LUOGHI DELL’ASSOCIAZIONISMO
La Casa delle Donne, nasce dalla necessità di creare e dare maggiore spazio ed interesse all’aspetto sociale, frantumato e dissolto come polvere al vento dopo il 24 agosto. Ci sono tanti modi per sostenere l’aspetto sociale, per noi, passa attraverso la condivisione della propria conoscenza, attraverso la condivisione ed il recupero delle tradizioni, possiamo ritrovare noi stesse proprio guardando a ciò che siamo state, noi lo facciamo con l’artigianato, usiamo le mani, la testa ed il cuore, trasformando gesti che si son persi nel tempo in emozioni che danno vita ad oggetti.
Tessitura, feltro, ceramica, cucina, aspetti legati ad un mondo lontano dalla tecnologia moderna, ma ricchi di ritualità, la lana cardata, ha il profumo delle pecore delle nostre greggi, i tessuti hanno i colori delle piante naturali spontanee, l’argilla, ci riporta al contatto con la terra, la cucina trasforma i frutti che questa ci dona.
L’ aspetto associativo, acquista nel nostro caso, anche un valore di riscoperta e formativo con l’intento di far rimanere le donne in questo territorio, dando loro un ruolo anche economico.

I LUOGHI PRODUTTIVI DEL TERRITORIO E DELL’ECONOMIA qui non sono inserita, ma la l’associazione che rappresento, rientra in questo settore attraverso gli oggetti artigianali che andremo a realizzare. Ad oggi abbiamo 1 libro, una produzione di feltro, la “Scopozza” ed il Dolcelaga in fase di avvio di produzione.

COSA ABBIAMO? Abbiamo le montagne e la natura, un paesaggio unico per bellezza e varietà, le nostre montagne permettono percorsi a piedi, in bicicletta, sci di fondo, abbiamo un territorio dove l’uomo, non ha apportato modifiche inserendo impianti da sci, realizzando interventi di urbanizzazione alti, abbiamo purtroppo un immenso territorio in pianura devastato dagli interventi abitativi di emergenza, dall’abbandono di container e strutture adibite a depositi, abbiamo un lago, troppo spesso privato del suo livello ottimale di acqua. Abbiamo un forte attaccamento ed amore per questa terra che ci lega a lei.

COSA MANCA? mancano le nostre case, la nostra città, i nostri monumenti, la nostra storia “visiva”, mancano i luoghi della memoria, manca la ricostruzione anche sociale e non solo delle case, manca la condivisione, il sentirsi una comunità, la capacità di apprezzare gli sforzi di chi fa ed il coraggio di riconoscerlo, manca la trasparenza nell’agire, nel dire, la frammentazione del sociale fa parte di un percorso storico negativo presente da tanto nel nostro territorio, oggi predominante.

LA TRANSUMANZA É/PUÓ RAPPRESENTARE… difficile da spiegare, perché la transumanza è qualcosa che si ha dentro, che ti appartiene, è nel nostro DNA, racconta il nostro passato, ha i profumi della nostra terra, delle nostre case, siamo noi eppure facciamo fatica a tramandarla, può rappresentare il recuperare una parte di quello che abbiamo perso, di ciò che oggi non vediamo più, il terremoto ha eliminato tutto quello che alterava la vista verso i luoghi ed i sentieri della transumanza, oggi dobbiamo ricostruire intorno a questi percorsi il nostro futuro.
DOVE ANDIAMO? Ho smesso di farmi questa domanda, perché i cambiamenti sono stati forti in questi anni, al momento mi sento di dire che sto semplicemente seguendo quello che ho nel cuore e che mi ha spinta a portare avanti il progetto della CDAF, la voglia di aprire ancora la finestra di “casa” la mattina e salutare Pizzo.

• ARIANNA SALVI – CUOCA, RACCOGLITRICE, APPASSIONATA DI ERBE

TESTIMONI E LUOGHI DEL CUORE
Nonostante le mie radici confignare, mi sento piacevolmente forestiera, alla scoperta di questo territorio.
Quando desidero scacciare i cattivi pensieri, ritrovare il buono umore, riscaldare il mio cuore, ricordare a me stessa la direzione e percepire il motivo che mi lega a questa terra esco da Configno, in biciletta, e giro a destra.
Percorro la strada provinciale SS260/Via Picente fino ad arrivare al Lago di Campotosto per dirigermi verso Amatrice e tornare a Configno.
Alla fine di una strada tutte curve, straziante, il cuore mi arriva in gola, non per la salita infinita, ma per la bellezza che in qualsiasi stagione, si riflette nei miei occhi.
Improvvisamente i Monti della Laga emergono imponenti dalle colline che ogni volta cambiano colore,
una strada infinita da dove si vede il Gran Sasso e che dolcemente conduce al lago.
Ogni volta mi innamoro mi sento pervasa da emozioni e il mio stomaco si stringe fino a farmi uscire lacrime di meraviglia e gratitudine.
Luoghi incontaminati, dove la vita viene scandita dal ritmo circolare del giorno e della notte e dalle stagioni che si manifestano e si susseguono.
In questo anno, e in questi luoghi sto scoprendo la bellezza della semplicità, della vita lenta che ti dà la possibilità di vivere nel presente, di fermarsi e perdersi nel parlare con le persone,
osservare albe e tramonti e interagire con la natura sentendosi parte.
Proprio quella strada e quei luoghi mi rendono conscia del legame indissolubile con quelle montagne che proteggono e accolgono la mia famiglia da generazioni.

BIODIVERSITÁ E PERCORSI BIO-CULTURALI
Ogni volta che mi metto in cammino vengo accompagnata e rapita dalla vegetazione che caratterizza questi luoghi, rimanendo sbalordita dall’abbondanza e dalla biodiversità presente.
C’è un percorso molto bello che parte da Configno passa per Nommisci ed arrivava a Colle Santa Maria (m. 1448 slm) da dove è possibile ammirare un panorama mozzafiato a 360° sull’intera catena della Laga, Gran Sasso, Velino, Terminillo, M. di Cambio, M. Prata, M. Pozzoni, C.Redentore e M. Vettore.
In qualsiasi stagione io mi trovo porto il mio cesto con me e mi incammino, osservando il paesaggio e raccogliendo le diverse piante che trovo lungo il percorso.
La rosa canina in inverno, per farci marmellate liquori e sciroppi.
In primavera la natura si risveglia ed offre molteplici erbe di campo che imbandiscono la tavola ed i petali dei fiori che abbelliscono le insalate. Si trova di tutto, il biancospino, la piantaggine, l’ortica, il tarassaco, la cicoria, i boccioli di rosa canina, i papaveri, la pratolina, il tarassaco, la lunaria, le visciole e tant’altro ancora.
Poi con l’arrivo dell’estate i campi si tingono di giallo con l’iperico, la carota selvatica, le more, i lamponi, il ginepro, la pimpinella, la santoreggia, l’elicriso e l’achillea.
Ed infine l’autunno nella sua abbondanza e nella sua esplosione di colori che giorno dopo giorno cambiano e trasformano il paesaggio.
Lungo il cammino in questo periodo oltre il cesto si ha la necessità di portare anche una busta rigida capiente, perché si effettuano numerosi incontri; noci, castagne, funghi, mele, pere…
La natura restituisce i ruoli ed il metterci in cammino e ci rende più umani.

COSA ABBIAMO? Un patrimonio paesaggistico puro ed incontaminato, percorsi e sentieri immersi nella natura. La Montagna. Aziende agricole che rappresentano ed inglobano il territorio stesso.

COSA MANCA? Senso di comunità (in parte), consapevolezza della ricchezza del luogo, apertura all’ esterno, valorizzazione di ciò che il territorio offre, possibilità per i giovani di realizzazione di progetti di vita a lungo termine, gestione della montagna (es carbonaia, stazzi, convertiti in rifugi) e del bene comune come risorsa, fiducia (nello scommettere) nel territorio, concetto di montagna come risorsa ( escursioni , e rivalutazione delle usanze tradizionali)

LA TRANSUMANZA É/PUÓ RAPPRESENTARE… Il filo conduttore tra tradizioni agro pastorali, musicali e tradizionali, scoperta del territorio attraverso un turismo lento e le realtà agricole presenti sul territorio. La transumanza può rievocare il bagaglio socio-culturale-tradizionale. è il risveglio della consapevolezza, fuoco che riaccende la passione e il senso di appartenenza.
La possibilità di riscoperta di usanze e saperi antichi.

DOVE ANDIAMO? Più che andare direi (ri)tornare nei territori con una consapevolezza e innovazione ed un profondo desiderio di ricerca e scoperta di questi luoghi che offrono ancora una forte impronta tradizionale che deve essere salvaguardata ed incentivata.

BIOGRAFIA
Arianna Salvi, 27 anni da Ottobre del 2020 risiedo a Configno fraz. di Amatrice.
Sono una cuoca, raccoglitrice, appassionata di erbe spontanee ed etnobotanica.
Mio Nonno era di Configno ed ogni estate e festività insieme alla mia famiglia ritornavamo al paese d’origine.
Dopo il terremoto è come se ci fosse stato un risveglio repentino delle mie origini e dei valori su cui oggi baso la mia vita.
Proprio oggi in questo periodo, dove di nuovo tutto è messo in discussione, ho scelto l’Italia interna (ed ogni giorno che passa sono sempre più felice).
Quest’anno ho avuto la fortuna di vivermi tutte l stagioni e man mano sto cercando di scavare e ritrovare l’identità di questi luoghi, riportandoli alla memoria.
Mi sento come risvegliata da un lungo sonno,
dentro di me sento l ‘esigenza di scoprire questo territorio, la sua storia, e la storia che mi lega ad esso.
Poi c’è la montagna, quella vera, i sentieri e gli scorci mozzafiato che mi permettono di sentire con tutta me stessa le miei origini e di nuovo ricomincio a sognare.
Avendo avuto come punto di riferimento Roma questo luogo talvolta mi confonde e non mi fa capire quale è la “realtà”.
Che cos’è la realtà? Ciò che si vede.
Proprio qui si ha la possibilità di osservare, riflettere e riorganizzare la mente senza nessun tipo di distrazione.
Costruire una vita lenta, a ritmo con le stagioni, consapevole, fatta di quotidianità e riti. Tessendo rapporti umani basati sulla presenza, il muto aiuto e la condivisione.
Sento questa dualità dentro di me di non conoscere effettivamente questi luoghi ma allo stesso tempo sento un profondo senso di appartenenza.
Questo senso d’appartenenza deriva dalla montagna stessa, dalla musica che caratterizza questo territorio, i rapporti umani, la natura che mi circonda, i fuochi dei pochi camini rimasti.
Tutto ciò mi riporta alla mente fotografie antiche di come era la vita qui a Configno e in tutta la Conca Amatriciana.

• ERCOLE CAVEZZA

Sono Ercole Cavezza vivo a Scai di Amatrice, ho 25 anni e faccio l’agricoltore come occupazione principale.

COSA ABBIAMO? Noi Abbiamo la natura, il rispetto per essa, le tradizioni, le feste, la tranquillità… E cose del genere.

COSA MANCA? Da noi manca la gente, le famiglie e con esse tutto quello che ne deriva, quindi consumo di materie prime e di seguito negozi che le vendono.

LA TRANSUMANZA É/PUÓ RAPPRESENTARE… La transumanza è solo una festa e una tradizione che da noi è rimasta solo perché si svolge per una piccola distanza e che quindi ancora quasi conviene fare una passeggiata di due giorni invece di caricare le pecore su un camion. Quindi questo è e questo rimarrà specialmente ora che le istituzioni hanno problemi ben più gravi che sovvenzionare una vecchia festa tradizionale.

DOVE ANDIAMO? Andiamo verso uno spopolamento irreversibile che non può essere contrastato con qualche parola sotto le elezioni. È un processo iniziato malti anni fa a l’epoca dei nostri padri, e che negli anni si è andato rafforzandosi, risparmiando solo quelle poche famiglie che hanno un attaccamento al territorio dovuto o al fatto di viverci da troppo o dal fatto che non possono reiterare facilmente il loro lavoro in altri luoghi, un esempio è il nonno che non abbandonerà mai la casa paterna, un altro è l’agricoltore che dopo aver acquistato e lavorato la propria terra per generazioni non riesce a lasciarla.
Ma non può andare avanti così: io stesso che ho provato a costruire qualcosa in questi luoghi che amo, stento a rimanere, e comincio a pensare che non lo farò, perché dovrei? Non tanto per me, ma per la famiglia che tento di costruire, io amo questi luoghi e le caratteristiche che li contraddistinguono, ma perché ci sono nato, per una persona che li vede suscitano grande ammirazione, ma di certo non possono fare di più che venirci a pranzo il mese d’agosto o venirci a passare qualche weekend.

• ARMANDO NANNI – LAGA INSIEME ONLUS

L’associazione Laga Insieme nasce nel 2005 quando un gruppo di amici d’infanzia di Amatrice ed Accumoli, appassionati di montagna, decidono di far conoscere e condividere con più persone possibili la bellezza della loro terra.
Si è Iniziato così ad organizzare escursioni, stand informativi, visite guidate ed eventi promozionali (tra cui la prima rassegna musicale in quota dell’Appennino: Note sulla Laga); il tutto all’insegna dell’impegno civico e della valorizzazione del territorio.
Le finalità sociali e culturali, perseguite attraverso le numerose attività, hanno permesso di ottenere nel 2012 il riconoscimento di ONLUS, che è stato onorato degnamente, prodigandosi in opere divulgative, tra cui due importanti lavori in dvd, uno naturalistico sui Monti della Laga ed uno sulla storia, l’arte, e le tradizioni di Amatrice.

IL POST-TERREMOTO
La coesione e senso di responsabilità dei fondatori ha permesso, dopo la immane tragedia, di continuare con più determinazione il cammino di impegno e responsabilità a favore delle comunità ferite. E’ stata avviata una raccolta fondi attraverso la quale sono stati realizzati numerosi ed importanti progetti: aiuto economico ai giovani universitari(progetto Airone); assistenza agli anziani del comune di Accumoli (progetto Solidarietà oltre l’emergenza); un ufficio mobile al servizio dei cittadini di Amatrice(progetto Camper); protocolli d’intesa con organizzazioni ed Associazioni per iniziative integrate (Confartigianato e Psi plus-psicologi di comunità); pubblicazioni di due libri, tra cui un importante reportage fotografico, Amatrice il profumo della sua terra di Adriana Pierini. Laga Insieme Onlus si è fatta promotrice inoltre, presso associazioni ed amministrazioni dei territori delle quattro regioni del cratere, di una campagna di sensibilizzazione a favore del patrimonio culturale ferito: Appennino Solidale. Altra iniziativa importante, nella direzione della mutualità interterritoriale, è stata la firma del Protocollo d’Intesa tra i due Parchi Nazionali, Sibillini e Gran Sasso-Monti della Laga, volto alla tutela e valorizzazione del loro patrimonio ambientale. L’accordo, tra i pochi firmati in Italia tra due Aree protette nazionali, ha ricevuto il plauso delle istituzioni Europee. Ultima importante iniziativa, il sostegno alle attività di salvaguardia e divulgazione del patrimonio culturale immateriale collegato alla Transumanza, che recentemente ha ottenuto l’inserimento nella lista Unesco.

COSA ABBIAMO? Un grande potenziale fatto di risorse e di soggetti sociali, che non deve trovare solo risposte a singole richieste. Un paese distrutto che può pensare ad un futuro, fatto di opportunità ed innovazione: la “ricostruzione”. Una storia di tradizione, arti e mestieri, la cui tutela può essere fonte di investimento sociale ed economico. Il destino di rappresentare una tragedia, ma il dovere di non esser ricordati solo per questo. Una ricetta, un piatto, ed una salsa, riconosciuta dall’Europa, che ci salva dalla “dimenticanza”.

COSA MANCA? una istituzione, che oltre a fare le cose, possa suscitare credibilità, ed essere, al di sopra delle parti, un riferimento per la comunità. Il coraggio di cercare un contrasto alla “strategia dello spopolamento”, ricostruendo parallelamente case e tessuto sociale. Una “resilenza Urbana”, e non solo quella dei singoli. La spinta a trovare nel patrimonio culturale una fonte di ispirazione per il futuro. Un paese che riscopra i valori del vivere comunitario come espressione di una identità ancora viva. L’orgoglio per le radici che non sia “chiusura” verso qualcuno o qualcosa. Un denominatore comune che sia stimolo per una convivenza basata su coesione sociale e cultura democratica.

LA TRANSUMANZA É/PUÓ RAPPRESENTARE… l’occasione per rafforzare l’orgoglio di appartenere ad una terra con una storia “importante”; ma per quale motivo questo riconoscimento Unesco è passato del tutto inosservato, e non ha suscitato nessun interesse nella nostra comunità. Azzardo a dire che dopo 5 anni ancora le persone non riescano a voltarsi dietro, e tutto quello che ha sapore di passato, anche se riferito alla “cultura”, rinnova la ferita, e quindi è meglio evitare (malgrado la voglia presente nelle persone di raccontare il loro terremoto). La Transumanza, potrebbe essere invece un’occasione per una “elaborazione del lutto”: la riscoperta di un “immaginario” che il terremoto non ha potuto rovinare e su cui investire energie al fine di valorizzare “anche noi stessi”. Questo aspetto di “fragilità/pregiudizio” della comunità è da tener presente nella costruzione della mappa, per non andare incontro a “resistenze” ed opposizioni. Inoltre tutti, anche i componenti del coordinamento, debbono sentire proprio il processo di recupero e valorizzazione del proprio patrimonio, e non “eterodiretto”.

DOVE ANDIAMO? La cooperazione multidisciplinare in affiancamento alle politiche istituzionali, e con l’interazione partecipativa del tessuto associativo, come tu Letizia scrivi, è un processo importante e auspicabile, in vista di uno sviluppo e rigenerazione territoriale. I “nodi” dell’Appennino però, come li chiama Marco Giovagnoli nel suo articolo, sono molti, “quelli che soffocano andrebbero recisi, quelli che uniscono andrebbero rinsaldati”. Ancora lui dice, riferendosi alle nostre montagne, che le politiche pubbliche di sostegno dovrebbero uscire dalla logica perversa del finanziamento a elevate masse critiche dimensionali quantitative (nel settore delle politiche rurali gli esempi abbondano) e, dopo anni di derisione del “piccolo è bello”, esplorare la strada del “piccolo è possibile”; anche Fabrizio Barca, rispetto alle “Aree interne” è diffidente rispetto al sistema della politica dei bandi. Speriamo quindi, e questo dipende soprattutto da noi, che il “dove andiamo” non sia solo un esito di scelte politiche.

• ASSOCIAZIONE CONFIGNO – La comunità, la socialità e i luoghi dell’associazionismo

COSA ABBIAMO? Configno, frazione situata a nemmeno tre chilometri in linea d’aria a sud-ovest di Amatrice, è il posto dove noi ragazzi siamo cresciuti, ci siamo formati, abbiamo passato le ore più belle in quelle estati dorate in cui il tempo si fermava. Rappresenta un luogo del cuore, un territorio con il quale intere generazioni hanno instaurato un legame indissolubile, un cordone ombelicale che nemmeno la migrazione delle nostre famiglie verso la Capitale nel dopoguerra è riuscita a recidere. Anzi, lo spirito di appartenenza è stato rafforzato da tale lontananza, e da un ostinato e costante pendolarismo ripetutosi negli anni, prima coi nonni, poi coi genitori, e infine coi figli.
Oltre ai ragazzi residenti tutto l’anno nel paese, Configno vanta una nutrita schiera di giovani e giovanissimi, un esercito di braccia e cervelli che, pur vivendo la maggior parte del tempo a Roma, non manca mai di far sentire il proprio amore verso il territorio. Ragazzi che suonano i gli strumenti della tradizione, che partecipano nuovamente al glorioso “Torneo delle Frazioni”, che collaborano in prima persona alle attività organizzate dall’Associazione Configno, che lavorano per il paese, che esplorano le nostre montagne. Nuove generazioni che nascono e si formano sotto la paziente e illuminata guida degli “anziani”. E questo è per noi motivo di felicità, di tranquillità, di ottimismo verso il futuro.
Attraverso l’Associazione Configno, i nostri padri e nonni hanno svolto, senza soluzione di continuità per gli ultimi cinquant’anni, attività di promozione sociale, culturale, gastronomica e sportiva all’interno del nostro territorio. Solo per citare alcune tra le iniziative e realtà più degne di nota: La corsa podistica su strada Amatrice-Configno , Il Museo delle arti e tradizioni popolari , L’Oasi delle Orie terme, la Festa degli Antichi saperi e sapori . Proprio in occasione di quest’ultima festa i nostri cuochi ripropongono piatti della tradizione agro-pastorale, si tengono laboratori di formazione su panificazione e preparazione di formaggio fresco e ricotta, passeggiate di riconoscimento e raccolta delle erbe spontanee, tutto rigorosamente grazie al contributo di realtà locali. E, sul finire del giorno, si esibiscono i poeti a braccio, accompagnati dalle ciaramelle, simboli ed eredità della nostra cultura pastorale.

DOVE ANDIAMO? Gli eventi sismici del 2016 e 2017 hanno trasformato quello che era un piacevole passatempo in un impegno a tutto tondo per la sopravvivenza della nostra comunità. A seguito di ingenti sforzi del Comitato Rinascita Configno e dell’Associazione, è nato il Villaggio di Configno , unico nel suo genere nel cratere di Amatrice e nel centro Italia. In un contesto in cui tutte le abitazioni del paese sono pressoché inagibili o già demolite, ciò ha permesso alla nostra gente – specie al preziosissimo “popolo delle seconde case” – di rimanere sul territorio. La socialità è stata preservata, la Comunità è rimasta intatta, ed oggi sia gli anziani che i bambini hanno un posto cui fare riferimento, una realtà cui aggrapparsi a tutta forza nell’attesa della tanto sospirata ricostruzione. L’affascinante sfida che ci troviamo davanti consiste nel guardare al futuro, tenendo però ben in mente quello che è stato il nostro passato. Abbiamo in cantiere tantissimi progetti. Uno di questi, ad esempio, riguarda il rifacimento della fontana e lavatoio del paese, ormai in stato di abbandono da diversi decenni, ma elemento di assoluto valore storico-simbolico per il nostro paese. Era lì che le nostre nonne, e le loro nonne prima di esse, andavano a lavare i panni, era lì che si portavano ad abbeverare le vacche, o si prelevava l’acqua per il consumo umano, dato che fino a pochissimi decenni fa non avevamo ancora l’acqua corrente nelle case. Ciò che contraddistingue il nostro gruppo è la voglia di lavorare per il nostro territorio, per la cui rinascita siamo sempre in cerca di nuove opportunità.

LUOGHI E MEMORIE SIGNIFICATIVE
È difficile trovare all’interno del paese di Configno uno o pochi luoghi specificatamente significativi. Sicuramente il nostro già citato Museo delle arti e tradizioni popolari, luogo dove il tempo si è fermato, incastona nella memoria preziosissimi elementi della nostra storia agro-pastorale. L’edificio sorge su quella piazza, l’Ara di Bizzarri, su cui tante volte da piccoli abbiamo assistito alla macellazione del maiale da parte dei nostri anziani.
Lasciando andare la mente, rivedo le spighe del grano piegarsi al vento sul viale del piano, dove oggi sorge il Villaggio. Vedo la chiesa di Sant’Andrea piena in ogni ordine di posti le domeniche d’estate. Mi rivedo bambino andare a comprare la ricotta appena fatta da Aurelia, o, con le mille lire in mano, andare da Bastiano a prendere il latte appena munto. Rivedo il cingolato di Oreste col rimorchio carico di legna. Vedo Aldino condurre le pecore attraverso il paese. Rivedo Gina suonare la tamburella. Vedo Elio passare in macchina alle quattro del mattino per andare a lavorare, mentre noi giovani siamo ancora in piazza a buttare il tempo tra vino e chitarre. Vedo Peppe Lungo intagliare il legno in Piazza dell’Arucolle. Vedo il Presidente Luigi Salvi e Fernandone cucinare con dovizia i fagioli con le cotiche nel bar a Capolavilla. Vedo Mena preparare le pizze fritte. Vedo Checco e i suoi tartufi. Vedo Margherita nel Recinto. Vedo il King, Giggione, Pippo e tutti gli altri battere le carte sul tavolo al torneo di briscola al Trocco. In tutto questo, sentiamo le nostre radici, e vediamo il nostro futuro.

LA TRANSUMANZA É/PUÓ RAPPRESENTARE… Un albero senza radici è inesorabilmente destinato a schiantarsi. Ben coscienti di questo, da decenni portiamo avanti iniziative per preservare la nostra cultura. In quest’ottica, l’adesione al progetto “Le vie della transumanza” organizzato dal Comune di Amatrice in collaborazione con l’Università degli Studi del Molise, è la naturale proiezione del nostro modo di pensare. Per questo, l’Associazione Configno ha aderito senza esitazione al progetto, sfociato nel raggiungimento del prestigioso riconoscimento della transumanza come bene immateriale dell’umanità da parte dell’UNESCO nel dicembre del 2019 . Che sia questo un elemento di orgoglio per la nostra comunità.

COSA MANCA? La strada da percorrere per la rinascita dei nostri territori è ancora lunga e tortuosa, sebbene crediamo che il solco sia già stato tracciato. L’evoluzione della società e dell’economia, il cambiamento climatico, l’aumento del numero e dell’intensità delle pandemie, lo sviluppo della tecnologia e del lavoro a distanza, sono tutti elementi che possono gettare le basi per una vera rinascita della Conca amatriciana, e in generale della montagna. A patto che, s’intende, si creino presupposti necessari per far sì che ciò accada. In ordine di importanza:
1) Facilitare la ricostruzione post-terremoto, oggi ostacolata in ogni modo dai lacci mortali della burocrazia nazionale e degli uffici tecnici locali. Aiutare, e non respingere, chi alla montagna vuole tornare.
2) Lanciare un turismo sostenibile, intelligente, culturale, e non solo legato al “piatto di amatriciana” per i motociclisti di passaggio. Spiegare il territorio con intelligenza e sensibilità, senza svendere la nostra storia come successo tristemente in altre aree dello Stivale iperinflazionate dal turismo stagionale, in cui si organizzano megaeventi una tantum, preceduti dal nulla e dal nulla seguiti.
3) Promuovere la collaborazione tra le diverse associazioni del territorio
4) Preservare e pubblicizzare la nostra cultura, sia tra i locali che tra i turisti (ben venga quindi il progetto “Le vie della transumanza”!), e aprire una biblioteca ad Amatrice.
5) Restaurare le vecchie abitazioni nel rispetto dello stile architettonico del luogo e promuovendo l’efficientamento energetico.

• GIULIO ANIBALLI – UNA MAPPA DELLA MEMORIA: AMATRICE E LA PASTORIZIA

Amatrice, per il suo aspetto urbanistico, orografico e sociale, è più somigliante ad una piccola città che un grande paese. È posizionata su un’altura ed a mo’ di penisola, è circondata da terreni con forti pendii che rimpianano verso sud e soltanto li si possono trovare facili accessi viari.
Urbanisticamente, quindi, si identifica, più con Cittaducale che con Leonessa. La mancanza intorno a sé di terreni pianeggianti, non hanno mai consentito agli abitanti del centro, di dedicarsi ad attività agricole e tanto meno di avere stalle per animali da allevamento all’interno di essa.
Gli abitanti di Amatrice, sono per lo più, operai ed operaie, impiegati, negozianti, professionisti che spaziano nei vari settori, da tecnici a medici, avvocati, notai tanti artigiani dediti al ferro battuto, alla falegnameria, alla calzoleria, alla sartoria, maniscalchi, fornai, tessitori ed ancora tantissimi religiosi sparsi nei vari conventi e chiese di cui Amatrice ne conta veramente tante.
Amatrice come diceva Vincenzo Di Flavio in un suo trattato: “È capace di badare a sé stessa”.
Il centro della città, era punto di transito dei più importanti assi viari locali che si snodavano per tutta conca Amatriciana.
La transumanza, quindi, si rivelava come episodio di passaggio stagionale primaverile ed autunnale con lunghissime e file di animali che per giorni invadevano l’intero centro urbano, che oltre a portare un rinvigorimento dell’economia locale, portava anche disagi igienici lungo il percorso, che poteva interessare sia il corso che le vie collaterali a secondo del luogo di destinazione degli stazzi dislocati sui monti della Laga.
Da sempre si riscontra che Amatrice centro è stato economicamente tenuto in vita dalle tante frazioni che la circondano ed è anche facile comprendere come si potessero giustificare il sorgere di fazioni di diversa natura tra i “centrali” e d i frazionisti.
Tra i pochi abilitati a trattare l’argomento, ci sono io, figlio di un amatriciano e di “una dei paesi”. Così senza volerne più di tanto si identificava chi non era di Amatrice centro, come mia mamma che era di Patarico.

É facile quindi pensare che tra Amatrice e le frazioni non corresse buon sangue, la cosa non è proprio in questi termini, comunque c’era una sorta di diaframma che tra i due silenziosamente faceva percepire una separazione. La sensazione che Amatrice, quale centro di potere religioso e civile, opprimesse le frazioni, risale a tempi remoti. È noto, come esempio, il fatto che per intenzione del Principe Orsini ed ancor di più del vescovo Caffarelli di Ascoli che nel 1472 il Cammeo venerato ad Amatrice come la Miracolosa Madonna di Filetta, trovato da una pastorella Chiara Valente, nella omonima contrada in parrocchia di S. Lorenzo a Flaviano fosse custodito ad Amatrice anziché nel luogo di ritrovamento. Come riporta il Sac. Alfonso Persi, al cap. V del suo volume, “Monografia della Prodigiosa Invenzione della Sacra Immagine della Madonna SS. Della Filetta che si venera nella Città di Amatrice” edito dalla Tipografia Giachetti e Figlio di Prato nel 1901 (…il Vescovo Caffarelli …in forza della sua autorità pontificale volle ed ordinò che la benedetta Immagine fosse solennemente portata in Amatrice: giudicato luogo più convenevole e degno della grazia di Lei, e venisse decorosamente collocata nel maggior tempio della città, cui egli stesso designò nella Basilica di S. Maria , officiata allora dai PP. Conventuali Oggi chiesa di S. Francesco. Il fatto come riporta lo stesso Persico, non fu di certo gradito dagli abitanti di S. Lorenzo e dei paesi viciniori. Tant’è che, più volte, nel citato manoscritto, tratta questo problema con un celestiale manierismo sia nei confronti dell’allora parroco che della popolazione; riempiendoli di lusinghe e complimenti che comunque non sono riusciti mai a placare quel malumore.

Alla parrocchia di S. Lorenzo a Flaviano, rimase soltanto la prerogativa che il parroco pro tempore, il giorno della festa, a titolo di onore compensativo, portasse nella processione che proveniva da tutte le frazioni di Amatrice, la sacra immagine dal fossato di Filetta fino al Santuario. Lo scambio del tabernacolo tra sacerdoti, avviene ancora oggi sopra un ponticello in legno e segue un cerimoniale che fino a pochi anni fa, e soprattutto nel viaggio di ritorno, complice un festoso bicchiere di vino, coloriva un giorno di festa con un parapiglia che qualora non si fosse verificato sembrava un miracolo. Come riporta il Di Nicola nella citata “La crascia di Amatrice” a pag. 205 e lo stesso Persico nel suo manoscritto, il miracolo della Filetta, esercitava sulla città un forte richiamo sui fedeli. Furono concessi quaranta giorni di indulgenza ai visitatori del santuario di Filetta ed altrettanti ne furono concessi alla chiesa dei francescani (chiesa di S. Francesco) dove era conservata la sacra immagine.
Il Principe, dal canto suo, desideroso di accrescere la frequenza e la fama della città, volle che nel giorno della festa, fosse tenuta una grande fiera e che la processione della sacra immagine fosse accompagnata con trombe ed ogni sorta di strumenti musicali a Filetta e per le vie della città, solennizzando la festività anche la sera con luminarie ed una conviviale nel suo palazzo con i maggiori rappresentanti. Tutto ciò avveniva nel mese di maggio quando gli armenti della transumanza erano già rientrati nel contrato e contribuivano ad accrescere sia la vendita che l’offerta di ogni genere di prodotti.
Amatrice (centro) come già accennato, era dedita all’ artigianato, al commercio, alle pratiche amministrative, politiche ed ecclesiastiche nonché alle attività professionali facenti capo ai vari medici, notai, avvocati, ecc. Le frazioni, invece, si occupavano principalmente di agricoltura, pastorizia ed delle attività collaterali comunque legate da sempre, alla transumanza. Le aziende contavano un imponente numero di capi di bestiame. Furono gli Amatriciani a Roma (ed in questo caso è da intendersi per Amatriciani forse più i Frazionisti che gli abiatanti del capoluogo) a costituire alla fine del settecento l’Università dei tripparoli, poi dei caprettari e dei bettolanti; accaparrandosi l’esclusiva della vendita dei rispettivi prodotti. (vedi Amatrice e le su Ville di Andrea Massimi pag. 136 edito da Alfredo Aniballi Amatrice 1958). Le loro capacità imprenditoriali, in pochi anni sono cresciute, le attività hanno invaso più campi soprattutto quelli dei vini, degli alimentari, della ristorazione e delle costruzioni. I guadagni oltre essere investiti a Roma per migliorare le attività, venivano riportati anche ad Amatrice; e di certo hanno contribuito alla fondazione di due banche: La Cassa Rurale e la Banca Federale di Amatrice, con sede sul Corso e quest’ultima anche con una sede a Roma nei pressi del Pantheon. Ma la più grande fortuna degli Amatriciani, è stata la capacità di mantenere tra compaesani una catena di amicizia e di solidarietà, fattore importante per la crescita economica e professinale che li ha resi famosi in tutto il mondo.

La testimonianza delle capacità degli Amatriciani di imporsi nella capitale è anche ben descritta nel primo capitolo “La storia e la geografia, la cultura e l’economia. Appunti sul territorio dell’Alta Sabina” del volume di Piero G. Arcangeli, Giancarlo Palombini e Mauro Pianesi dal titolo: “La Sposa lamentava e l’Amatrice…”
In Amatrice capoluogo, non ci sono mai state vere e proprie stalle per l’allevamento di bestiame. Quelle che ancora oggi si vedono nelle vie secondarie della città, erano locali per ricovero di animali e carri per il trasporto di ogni genere. Indispensabile per la vita quotidiana, quanto le macchine ed i garage di oggi. C’erano anche quelle adibite a “parcheggio” temporaneo di animali destinati alla macellazione (definibili oggi frigoriferi a caldo) e qualcuna nelle parti più periferiche per la produzione del latte a carattere domestico giornaliero. Soltanto nei piccoli spazi retrostanti le case, o nei cortili delle abitazioni meno abbienti, si potevano trovare animali di bassa corte necessari per sbarcare il lunario familiare.
Alcuni casali di modeste dimensioni sorgevano nelle estreme vicinanze del centro, esattamente, nella zona degli attuali campi da tennis e verso Villa S. Cipriano nei pressi della zona Don Minozzi. Servivano alla produzione delle quotidiane necessità di rifornimento di prodotti agricoli e alimentari di immediato consumo. Qualche orto e frutteto si notano ancora oggi nelle vicinanze del centro storico. Tuttavia, per avere una zona prettamente agricola, occorreva uscire dal nucleo abitativo, dopo la frazione di S. Cipriano, oppure verso Musicchio o Sommati. Il vasto territorio del comune di Amatrice e la distanza dal centro, condizionava ogni frazione o gruppi di frazioni ad avere una propria scuola (anche se pluriclasse) ed una propria parrocchia comunque dipendenti dalla direzione delle: autorità civili e religiose centrali.
La breve descrizione geografica e sociale sopra accennata dimostra come il centro fosse differenziato dalle frazioni. In altre parole, Amatrice costituiva la città per antonomasia e le frazioni il mondo rurale fuori le mura.
Per quanto oggi si parli di folklore, ad ”Amatrice-Capoluogo” il costume contadino non ha mai avuto radici. Ad esempio, il famoso saltarello, come io stesso ricordo e come ho sempre sentito, ultima mia zia Mimma oramai novantenne, in Amatrice non si ballava, se non sotto le logge in occasione di qualche matrimonio di frazionisti accompagnati dal suono delle ciaramelle. Nelle sale di danza e nei due circoli cittadini di cui uno intitolato a Luigi Spinosi, si preferivano altri spartiti, più consoni ad un ambiente di città. In ogni frazione c’era una o più famiglie benestanti e culturalmente più elevate che spesso risiedevano nella capitale. Esse, erano per tanti paesani un appoggio sicuro per un primo approdo a Roma, e qualche volta per un decollo economico prosperoso. Parecchie famiglie benestanti delle frazioni avevano anche un’abitazione in Amatrice centro, spesso abbastanza lussuosa, dovuta ad una situazione logistica di comodo, e perché no, di rappresentanza tanto che il capo famiglia meritava dagli stessi Amatriciani l’appellativo di “Sor” (Sor Augusto, Sor Giovanni, ecc.). Sono tanti gli Amatriciani, o meglio, gli oriundi delle frazioni, che hanno fatto immense fortune in Italia ed all’estero, e non soltanto nel campo della ristorazione. Quando negozi o attività artigianali fossero gestiti da persone delle frazioni, i negozi conservavano nel tempo il nome derivante dal paese di origine (lu cornillaru, lu retrusaru, lu sommatellu, ecc.).
Gli abitanti delle frazioni, anche se celatamente vedevano “Li Matrecciani” (così, venivano definiti nello spescifico caso) come “gabbellieri”. I loro prodotti spesso venivano ceduti agli Amatriciani come merce di scambio, ma non sempre erano commisurati alla contropartita di un prodotto artigianale o prestazione professionale.
I matrimoni tra “Amatriciani e frazionisti” erano rari. Se una ragazza dei paesi andava in sposa ad un amatriciano, secondo i pregiudizi di allora, per la ragazza era un salto di qualità. Ella approdava, da un mondo agricolo ad una realtà cittadina spesso stabilendosi in casa di commercianti per lo più macellai. Le fatiche comunque miglioravano, ma non cambiava di molto. Invece, difficilmente, una ragazza di Amatrice sposava un ragazzo dei paesi (anzi la questione non veniva quasi neppure presa in considerazione). Qualora si fosse verificato, il ragazzo avrebbe dovuto avere dei requisiti riconoscibili: diploma, laurea, parentela ben piazzata o clericale. La ragazza Amatriciana comunque non andava mai ad abitare a casa del marito in una frazione, quindi si finiva per fissare la dimora della nuova coppia in città, e spesso nella casa dei genitori della sposa. Al contrario, matrimoni tra frazionisti erano frequenti e non ostacolati. Mio nonno materno era di Patarico, e mia nonna di S. Angelo. La sposa che andava da abitare nel paese del marito, spesso veniva bonariamente da tutti chiamata con il nomignolo del paese di origine, mia nonna era: la santagnana (proveniva da S. Angelo) come altre erano: la retrusara, la sommatella, la cornillara…). Un’altra usanza, vigeva fino a pochi anni orsono che vale la pena di ricordare, questa non soltanto ad Amatrice, era un po’ ovunque. E il matrimonio tra cognati in caso di decesso di un coniuge. Spesso alla mancanza di una moglie oppure di un marito, specie se ci fossero stati dei figli, si soleva risposare con una sorelle ovvero con il fratello del defunto, garantendo così ai figli una continuità affettiva, non si usciva da una parentela oramai consolidata, non si frantumava un’eredità già data per scontata, oppure spesso si coronava un sentimento d’amore che da tempo, per una priorità di età dei due amanti o per qual si voglia altro motivo, non era stato fin ora soddisfatto.
Ma ritorniamo al fatto, tanti detti ed aneddoti che reciprocamente venivano usati per punzecchiarsi tra matrecciani e quilli de li paesi, sono la testimonianza di quel diaframma di cui abbiamo già parlato ed eccone alcuni:
Li matrecciani, quilli de li paesi” “Preta Capricchia e Trione so tre paesi che non capiscono ragione” – “Guai se lu cafone comincia a comprenne” – “Se dai la mano a nu matrecciano recontete le dita” – “Norcia Cascia e Visso, Dio prima li fece e poi li malediss, poi se girò da st’antra parte e disse liberamus Dei li matrecciani so’ peggio dell’ebrei!”

Oggi nel ventunesimo secolo, i piccoli rancori e campanilismi tra Amatriciani e Frazionisti, sono smussati o quasi inesistenti.
Non so, comunque, se fosse meglio che non scomparissero del tutto, finirebbe un pezzo di storia, finirebbero anche quegli aneddoti e sfottò che hanno accompagnato i nostri avi nello sviluppo socio-economico di Amatrice nel mondo. Incontrandosi, come è realmente successo, in Italia o all’estero, (dove molti Amatriciani con la loro ristorazione hanno fatto fortuna) non sentiremmo più dire: “Lu ristorante è de unu de la Matrice” e sentirsi rispondere “Ma no me sa che te sbagli, è de unu de li paesi”.

LA VACANZA DI UN ARTIGIANO A ROMA – Narro una storia che mia nonna soleva spesso raccontarmi: quella del citato bisnonno materno Vincenzo Serafini sposato con Cecilia Berardi nato anche lui circa nel 1850. Famiglia da tempi remoti residente ad Amatrice, titolare di varie attività (riscossione esattoriale, calzoleria, ammasso, rivendita ingrosso di generi vari e per l’agricoltura, vino ecc.). Per queste sue attività era strettamente collegato alla vita dei “transumanti” che da sempre hanno legato Amatrice con Roma. Parecchie erano le forniture che Vincenzo faceva loro durante il periodo estivo, inducendolo per contatti e riscossioni a recarsi nella capitale. Il periodo più propizio era prima di Natale (i transumanti rientrarti a Roma vendevano quanto prodotto in montagna) ed era solito portate con sé una figlia soggiornandovi svariati giorni, facendo acquisti e trascorrendo belle giornate romane, spesso contraccambiato ospite dei soventi incontri culinari che si svolgevano a casa Serafini ad amatrice nei periodi estivi. La casa era sita in angolo via Conte Caponi via madonna della porta ora di proprietà di alcuni pronipoti (Giulio Aniballi, Amatrice 21 Marzo 2021).

• SILVIA IAFRATE – FRAZIONE COLLI

LA FONTANA – In una piazzetta nelle vicinanze della Chiesa sorge la fontana del paese, danneggiata dal sisma ma recentemente ristrutturata grazie a dei fondi stanziati dall’associazione Laga Insieme. Essa rappresenta, nella sua semplicità, un fulcro vivo oggi come ieri, della vita e della socialità della piccola frazione. Un tempo rappresentava l’unico punto di approvvigionamento pubblico dell’acqua all’interno del paese, tanto per gli abitanti quanto per gli animali: la presenza di una grande vasca per l’abbeveramento delle vacche, di due vaschette per le pecore, di un lavatoio per il bucato e del forno comunale fa capire come la semplice vita contadina di un tempo ruotasse intorno a questa costruzione modesta ma di grande impatto. Di fronte ad essa sorgeva un tempo l’osteria, luogo di ristoro e spensieratezza che affrancava le fatiche quotidiane con un bicchier di vino, una chiacchera, una partita a carte o un giro a morra. Guardandola oggi la immaginiamo sempre viva in ogni momento della giornata con donne intente nell’infornare il pane, raccogliere l’acqua per la casa con le conche e lavare i panni al mattino; verso sera circondata di animali desiderosi di dissetarsi dopo una giornata nei campi…
Questo piccolo edificio è un autentico testimone della vita di un tempo fatta di lavoro e fatica, ma è anche simbolo di una collettività tenace e solidale dove lo spazio comune era una vera e propria ricchezza.

LA CHIESA DELLA CROCE – Uscendo dal paese inizia un sentiero suggestivo in ogni stagione dell’anno che in una mezz’oretta porta alla Chiesa della Croce, un antico eremo, oggi gravemente danneggiato dal sisma del 2016, che sorge su di una collina di fronte ad Amatrice. L’edificio è semplice, costituito da due parti: a destra la Chiesa, con un grazioso altare e due file di banchi, e a sinistra la casa “de lu rumitu”. La vista un tempo era mozzafiato: Amatrice in basso con i Monti della Laga a farle da cornice. Oggi è un balcone sulla distruzione che ha portato il sisma, ma è inevitabile perdersi ancora nella bellezza delle montagne rimanendo così un punto di ristoro per l’animo umano tra natura e spiritualità. Un tempo veniva organizzata dagli abitanti della frazione Colli una festa alla quale partecipavano anche gli abitanti delle frazioni vicine.

LA SELCIATA – Una volta giunti alla Chiesa della Croce dalla frazione Colli è possibile seguire uno storico sentiero che porta ad Amatrice. L’inizio del percorso è semplice: una stradicciola di campagna si snoda tra arbusti e muretti a secco; ma non appena si giunge alla “cunicella”, una piccola edicola con un’immagine della Madonna dietro una grata e un inginocchiatoio/sedile in pietra all’esterno (un invito ad una sosta e ad una preghiera), lo scenario cambia: una strada lastricata di pregevole fattura (ciò che rimane della Via Romanella, unico collegamento tra Amatrice e la Via Salaria) scende verso il fiume delimitata da muretti a secco; in estate la frescura è assicurata dalla vegetazione di cerri sovrastante. Al termine della stessa, prima di intraprendere la salita che ci porta dov’era (e dove sarà?) l’ospedale di Amatrice, si attraversa l’altrettanto antico Ponte Spagnolo. Sentiero molto suggestivo, Percorrerlo significa anche tornare indietro nel tempo, a quel passato raccontato dai nostri nonni, così recente ma che sembra lontanissimo, quando esso rappresentava la via diretta per poter raggiungere Amatrice per le frazioni di Colli, San Benedetto, Musicchio e altre più distanti, a dorso di mulo, per poter acquistare ciò che la campagna non offriva.
IL SENTIERO DEL LAGO – Prima di intraprendere il sentiero che porta alla Chiesa della Croce è possibile invece seguire una strada sterrata molto panoramica che si snoda tra i campi e che conduce fino al Lago Scandarello. Giunti alla diga e possibile poi ritornare alla frazione Colli seguendo un sentiero che costeggia il lago per un bel tratto e che poi si reimmerge tra i campi tra Colli e San Benedetto. Un bel percorso ad anello, semplice, ma che lascia sempre soddisfatti anche coloro che lo percorrono da sempre. L’intero percorso si percorre in meno un’ora e mezza.

COSA ABBIAMO? Il territorio racchiude in sé un patrimonio naturale/paesaggistico, agro-culturale e artistico, nonché una tradizione agro-pastorale in via di ripresa

COSA MANCA? Spesso si avverte uno scarso senso di comunità (qualcosa che si è perso rispetto al passato), una reale consapevolezza della ricchezza del luogo e la conseguente valorizzazione di ciò che il territorio offre, un’apertura all’esterno che compromette anche la possibilità per i giovani di realizzare progetti di vita a lungo termine. Manca indubbiamente una gestione della montagna (escursioni, rifugi ricavati magari dal recupero degli antichi stazzi) e del bene comune come risorsa, fiducia nello scommettere sul territorio e una comunitaria rivalutazione delle tradizioni.

LA TRANSUMANZA É/PUÓ RAPPRESENTARE… Può indubbiamente rappresentare un risveglio della consapevolezza e dell’appartenenza ai propri luoghi di origine. La possibilità di riscoprire usanze e saperi antichi.

DOVE ANDIAMO? Più che di andare parlerei di (ri)tornare nei territori con una maggiore e vera consapevolezza della tradizione ma anche con uno sguardo rivolto all’innovazione e allo scambio.

• CLUB ALPINO ITALIANO (CAI) – SEZIONE di AMATRICE

Secondo la definizione fornita dall’articolo 1 dello Statuto, il Club Alpino Italiano (CAI), fondato a Torino nel 1863, è una «libera associazione nazionale, ha per scopo l’alpinismo in ogni sua manifestazione, la conoscenza e lo studio delle montagne, specialmente di quelle italiane, e la difesa del loro ambiente naturale».

La Sezione CAI di Amatrice si è costituita nel 1995 e attualmente ha circa 200 soci. Tutte le attività sono svolte grazie al contributo volontario dei soci. La Sezione si occupa principalmente della diffusione della cultura montana, della riscoperta degli antichi sentieri, della creazione, manutenzione e fruizione della rete di sentieri, della segnaletica, del soccorso in montagna, della tutela e della promozione della conoscenza dell’ambiente montano. Dedica una particolare attenzione ai giovani, non solo attraverso le attività dell’Alpinismo Giovanile sezionale ma anche curando i rapporti con gli studenti dell’I.O. Sergio Marchionne di Amatrice, di ogni ordine e grado, attraverso il progetto “A scuola con il CAI”, che ogni anno permette ai ragazzi di approfondire tematiche legate alla montagna, alla natura e alla cultura locale. Il progetto rientra nel protocollo d’intesa CAI-MIUR.

Nel corso degli anni, la Sezione ha organizzato convegni, eventi culturali e ha collaborato con altre Sezioni CAI, Associazioni ed Enti vari per pubblicazioni e attività che rientrano nelle finalità della promozione e diffusione della conoscenza dell’ambiente montano locale. Tale impegno ha portato, tra l’altro, alla pubblicazione della guida “SALARIA, quattro regioni senza confini” e della Carta escursionistica “Amatrice Monti della Laga”. Il CAI Amatrice è stato fra i promotori ed organizzatori, fin dalla prima edizione del 2011, de “Il viaggio della Transumanza” che ha voluto riportare nella conca amatriciana questa pratica tradizionale proponendo per diversi anni un cammino con le pecore, come facevano un tempo i pastori.

Nel corso del 2019, la Sezione ha collaborato con le altre Associazioni del territorio per sostenere la candidatura della Transumanza a Patrimonio Immateriale dell’Umanità dell’UNESCO. Con il progetto “Sentieri di Transumanza” rivolto alla scuola, ha promosso i sentieri storici del territorio, gli stessi che un tempo venivano percorsi dalle greggi, ricchi di testimonianze storiche, culturali, artistiche. Nel 2020, questa collaborazione si è concretizzata nella costituzione del “Coordinamento delle Associazioni per le iniziative a favore della Transumanza patrimonio immateriale dell’Umanità”, a cui la Sezione ha aderito.

Ogni anno il CAI Amatrice propone ai suoi soci un programma di escursioni, diverse per difficoltà e per impegno ma tutte rivolte a sensibilizzare e accrescere la consapevolezza di coloro che frequentano i Monti della Laga sul valore del patrimonio del territorio montano. Fin dai tempi più lontani queste montagne sono state frequentate e vissute intensamente dalle popolazioni locali; cacciatori, generazioni di pastori, briganti, carbonai, mercanti e contadini che commerciavano i propri prodotti da un versante all’altro ne hanno percorso i pendii e superato le cime, lasciando sul territorio una fitta rete di tracce. La Sezione CAI di Amatrice ha preso il testimone delle precedenti generazioni che vivevano l’ambiente montano, e gran parte di questi antichi percorsi sono stati recuperati e manutenuti dalla Sezione, entrando a far parte della rete sentieristica del CAI. L’escursionista di oggi frequentando questi ambienti può non solo ammirare la bellezza e le peculiarità dell’ambiente naturale dei Monti della Laga ma anche scoprire la storia e la cultura tradizionale che queste antiche vie di comunicazione riescono a tramandare.

www.caiamatrice.it